domenica 20 gennaio 2008

Gianni ATZENI

TRA SIMBOLI E METAFORE
Gianni Atzeni,

Quando due percorsi artistici si incontrano, ma soprattutto quando si incontrano due artisti e diventano amici perché capiscono di avere in comune alcuni punto di riflessione: così è capitato a
Gianni Atzeni, ed Efisio Niolu, quest'ultimo un altro di quei giovani sassaresi che promettono di incarnare i valori della ricerca artistica contemporanea in tutta la loro complessità.
La loro comunanza, ma anche la loro forte differenza, è stata messa in luce nell'ultima mostra che il Centro Man Ray di Cagliari ha proposto fino a pochi giorni fa.
A far scoprire le affinità elettive dei due artisti sono le forme, che dominano in entrambi arcaiche e archetipiche, menhir che sembrano salvare il mondo dall'informe e dalla caoticità e ricondurlo al silenzio dei primordi.
ATZENI, dopo anni di sperimentazioni che miravano a condensare la grafica, suo territorio prediletto, in una sperimentazione pittorica-scultorea, dagli esiti spesso difficili, è approdato a una sintesi ove è sempre possibile rintracciare la lunga frequentazione coi mezzi grafici, ma completamente piegati alle ragioni dell'espressività pittorica: la suggestione del grande formato, prima di tutto, che si impone nella matericità di colore granuloso e gocce di resina naturale; ma, soprattutto, la forma totemica, ribadita da architravi lignee color carbone. Campiture monocromatiche di colori che sanno di notte e di spiritualità, e che esprimono meglio la forza materica e formale della composizione quando sono liberi dalle teche che imbalsamano l'altra serie di lavori proposti dall'artista cagliaritano. Proseguendo il percorso da ATZENI a NIOLU si scopre quanto si siano sfiorate le due ricerche per poi attestarsi su valori e temperature assolutamente diverse. Il giovane sassarese stupisce per la verità che incarna con una forma, tutto sommato, sempre riconducibile a quella totemica. Se infatti, di totem si tratta, NIOLU sceglie di destrutturarli, sbrecciandoli, crepandoli, inficiandoli con graffiti, con segni di matita che sono le tracce reali del divenire del suo lavoro ma anche volontà di andare oltre la forma, nel territorio sconfinato del segno. Toni bruni, cupi, neutri, dove il neutro fa il colore della carta da pacco, con cui l'artista costruisce i suoi quadri; carta che poi intride di olii che hanno la leggerezza di acquerelli, ma che in più giocano con l'alone luminoso che solo il colore ad olio sprigiona.
Di totem in totem, "Tra simboli e metafore", come s'intitola la mostra, in una scenografica esposizione che sacrifica la facilità a vantaggio di una densità spirituale che è, insieme, ricerca e salvezza, necessità e catarsi per due amici artisti.
Recensione di Raffaella VENTURI

Gianni ATZENI

TRA SIMBOLI E METAFORE

Grandi tele fittamente lavorate a formare leggeri arabeschi, bilanciate e quasi sostenute da un tronchetto di legno dipinto di nero - stabile, rassicurante al tatto e alla vista - che funge da baricentro e da leva. Il colore sfumato, pennellato con toni differenti, evidenziato da un lieve gioco di rilievi e piccole concrezioni. La lunga teca scura racchiude una serie di tronchetti neri disposti in gradazione di misura: legna da ardere, ordinata e smussata, ma dipinta di un nero che le da consistenza di antracite. Sopra, quasi alla fine, un piccolo idolo pagano-cristiano, una strana creatura come quelle che si trovano scolpite sulle facciate delle antiche chiese, sovente sorte su luoghi di antichi e mitologici culti. Si chiude con una forma rotonda, la scatola magica, in una curva che accoglie ciò che contiene ma non esclude lo spazio esterno. Le tre piccole teche più piccole (gabbia o custodia) luogo di salvezza o di prigione ripetono l'inclusione del nero tronchetto ma si illuminano subito sopra di una lunetta solare di arancio e di giallo.
Nota critica di
Alessandra MENESINI

Gianni ATZENI

TRA SIMBOLI E METAFORE

Sono luoghi privilegiati del pensiero, spazi virtuali di riflessione sul mondo, le tele contaminate da interventi e addensamenti materici di
Gianni Atzeni, . Sono riflessioni, quelle di Atzeni, volte ad indagare i sentieri di una spiritualità collettiva attraverso il recupero di simbologie arcaiche e universali: la verticalità totemica, la sacralità della forma centinata, il dato cromatico. Nelle grandi tele, al pari delle teche, la centralità dell'impianto è individuata da lunette, che qui non appaiono direttamente ma affiorano dalle estroflessioni del supporto pittorico. la superficie cromatica, contaminata dalla matericità dei legni e dei grumi metallici, assolve tuttavia la stessa funzione sacrale (o forse addirittura apotropaica) delle teche, sorta di tabernacoli do Atzeni custodisce, proteggendoli sotto stessa lastra di vetro, il dato materiale e quello spirituale, dove si realizza, cioè la sacralità dell'evento.
Presentazione in catalogo Giannella DEMURO